La recensione più critica
3,0 su 5 stelleTra note positive e poche incertezze
Recensito in Italia 🇮🇹 il 15 luglio 2018
Ho acquistato il libro il giorno in cui è uscito, e l’ho letto soltanto la settimana scorsa; questo per dire quanto, dopo il colpo di fulmine iniziale per il commissario di de Giovanni io fossi precipitata in una sorta di diffidenza a seguito di altre prove meno convincenti. Invece ho passato qualche ora piacevole con questo (ultimo?, penultimo?) romanzo dedicato al commissario Luigi Alfredo Ricciardi: un romanzo dove si complica l’intreccio ma si asciuga la scrittura. Se già nel precedente si era intravisto un possibile epilogo della storia personale di Ricciardi (quella professionale, va da sé, continuerà anche senza di noi), in questo le cose si precisano ulteriormente, tra mille dubbi, tentennamenti e esami di coscienza che tuttavia non sono mai uguali a sé stessi e si leggono con interesse, persino, direi, con l’affetto che viene spontaneo dedicare a un personaggio piacevole e attraente che frequentiamo da un decennio e più.
E intanto, entriamo ancora, e di più, nella vita personale dei soliti comprimari: Maione, il brigadiere costretto a rivivere il proprio dramma familiare, quello iniziale, quello che ha fatto incontrare i due nel primo dei romanzi e che qui è, di sguincio, causa di attrito con la fedele moglie; Bambinella, il femminiello deciso a trovare un proprio spazio di affetti, magari cambiando pettinatura e seguendo l’ispirazione dell’Angelo Azzurro; Enrica, naturalmente, la donna che fin dalle prime pagine, undici anni fa, ci ha tenuto in sospeso sul suo rapporto con il commissario e che sempre di più mostra, oltre alla dolcezza apparente, il suo carattere; e, questa volta, sopra tutti, la domestica Nelide che, oltre ad affascinare con la sua bruttezza il bel fruttivendolo, si rivelerà una sorta di “dea ex machina” della situazione; e poi, via via, tutti gli altri.
Belle, dunque, queste pagine, che vanno evitate da chi si annoia alle descrizioni, da chi non vuole pagine di ragionamenti personali, intimi, di interrogativi, di rimpianti che a volte, qui, rubano la scena al giallo vero e proprio.
Che pure c’è, ed è, direi, ben costruito, intricato, dove la personalità di alcuni personaggi è il vero motore del caso poliziesco, e dove gli affondi nel passato lasciano la curiosità di scoprire di che cosa si sta scrivendo, e perché. Ridotti all’osso, invece, quei capitoli in corsivo, che in passato viravano verso un testo più poetico che prosastico, segnati dalle anafore, da un ritorno insistito di alcune immagini, o da una storia parallela non sempre gradevole da seguire: stavolta la scrittura, anche qui, è più asciutta, meno compiaciuta e meno d’inciampo per chi vuole seguire, semplicemente, lo svolgersi delle indagini. Ridotta anche, e di molto, la patina storica, che pure nei romanzi precedenti aveva un peso notevole e aveva dato spunto a numerose trame parallele, mentre viene dato spazio più all’affresco generale del tempo (con i richiami ad alcune canzoni del jazz, ad esempio), e, come sempre, a Napoli.
Forse qualche scena non è particolarmente riuscita (penso al “caffè” a casa di Enrica) o forse è soltanto che siamo abituati a un certo Ricciardi, e vederlo così differente può non piacere, ma, nel complesso, direi che finalmente siamo tornati a un de Giovanni piacevolissimo.