Recensito in Italia 🇮🇹 il 20 febbraio 2020
Questo libro alla fine mi è piaciuto, l’ho trovato interessante, ma non eccezionale. O meglio, ho avuto molta difficoltà a entrare nella storia inizialmente, più di una volta volevo fermarmi, ma poi si è fatto più interessante, perché alla componente fantascientifica si è unito un senso di mistero, che mi ha portata a scoprire, a volerne sapere di più. Il mondo creato e l’idea li ho trovati molto importanti, ma forse devo abituarmi allo stile, che non è molto in linea con i miei gusti personali (quindi, chiariamo, che in questo caso è una questione più soggettiva). Anche se a volte ho provato un po’ di confusione, e difficoltà con l’uso di certi termini. Superato il primo ostacolo, però, sono riuscita a concluderlo e, infine, l’ho trovata una lettura gradevole, ma non tra le più belle finora.
Siamo – ovviamente – in un mondo post-apocalittico, dove la gran parte dell’umanità vive sottoterra, nei cosiddetti “formicai”, per potersi salvare dalla guerra nucleare che si sta combattendo in superficie. Uno scontro tra il blocco occidentale (Dem-Occ, gli Stati Uniti) e quello orientale (Bloc-pop, l’URSS). Sono ormai trascorsi 15 anni, e tutte questi individui di entrambi i blocchi sono chiamati da sempre a svolgere un lavoro importante: creare un certo numero di plumbei, degli androidi, che sono destinati a combattere questa guerra che non sembra ancora essere finita. Vivono in luoghi angusti, senza mai poter vedere la luce del sole, in appartamenti soffocanti con spazi da condividere tra più persone. Non c’è una grande intimità, né troppa libertà, in verità. Ma, in fondo, è meglio vivere lì che in un mondo contaminato da guerra, distruzione e scorie radioattive, no? Gli ordini arrivano dall’alto, da un presidente – Talbot Yancy – che sembra non invecchiare mai, e che attraverso dei video/notiziari ai quali tutta la comunità è costretta ad assistere – anche nelle ore meno opportune -, comunica l’andamento della guerra, la distruzione delle città, tramite anche l’ausilio di immagini di città rase al suolo, e invita i suoi cittadini a produrre sempre di più, per raggiungere la quota dovuta da ogni rifugio. Una sorta di Grande Fratello di Orwell, più pacato, rassicurante, quasi benevolo al quale tutti sembrano credere con forza, fino a che, però, iniziano a insinuarsi dubbi e delle pecche.
Sì, perché, la verità è un’altra.
In superficie, infatti, la guerra è finita da almeno 13 anni, le due superpotenze hanno raggiunto un accordo, e i plumbei sono destinati a essere guardie e domestici dei grandi capi, uomini d’arme e politica, che vivono in grandi ville circondate da parchi immensi. Tra di loro, ci sono poi gli uomini-Yance, dal nome del loro capo, che si occupano di redigere tutti i testi che verranno poi emanati e mandati in onda nei formicai, per manipolare la realtà, continuare a vivere in una farsa che non sembra avere fine.
Ma a lungo andare anche la più precisa bugia può presentare delle incrinature. Talbot Yancy è quindi un simulacro animato da sceneggiatori e tecnici, che pronuncia dei discorsi televisivi creati ad hoc, menzogne, mezze verità, che offuscano il proletariato americano (ma anche russo), rendendoli incapaci di ragionare con la propria testa.
Ma qualcosa cambia, quando Nicholas St James il presidente di una di queste comunità del sottosuolo, decide – anche in maniera obbligata – di sfidare le leggi, e risalire in superficie, pur avendo paura di trovare una terribile desolazione, pur andando incontro al pericolo delle radiazioni. Il suo scopo è quello di trovare un pancreas artificiale per un suo amico, un capo meccanico. E quando questo accade, scopre che la verità è un’altra.
Dall’altro lato, abbiamo Joseph Adams uno degli uomini-Yance più abili, il quale inizia a sua volta a provare come dei sensi di colpa per ciò che stanno facendo, ad avere dubbi sulla situazione che è stata creata, e anche un vero e proprio blocco dello scrittore. È come se la macchina avesse assorbito le facoltà intellettive delle persone, come quella nebbia che avvolge i luoghi e quella solitudine che si avverte nonostante l’apparente bella realtà che si respira in superficie.
Accanto a ciò, il libro prende – come detto – una piega quasi thriller, con misteriosi omicidi da risolvere, viaggi nel tempo, personaggi insoliti, e situazioni incredibili. Una serie di intrighi e giochi politici, tra differenti personaggi che sono mossi dal dominio assoluto.
Il finale, però, resta sospeso, aperto.
Dick trasmette in queste pagine quella che in fondo è la comunicazione politica, fatta di mezze verità che sembrano essere sempre penultime, con l’ausilio di falsificazioni storiche, mostrando video che non rappresentano la realtà delle cose.
Ancora una volta la fantascienza fa riflettere anche sulla nostra realtà. Quante volte guardiamo i telegiornali, leggiamo notizie, o ascoltiamo le parole dei potenti, che in verità sono solo delle menzogne per aggirare le persone, soggiogarle e manipolarle in vista di un proprio successo personale? Su questo aspetto si fonda il libro, ed è proprio per questo che nonostante la difficoltà nell’entrare per la prima volta in sintonia con la scrittura di Dick, l’ho trovato davvero interessante.
Ma quando le masse apriranno veramente gli occhi, che cosa accadrà?