Recensito in Italia 🇮🇹 il 23 luglio 2012
Vanni Ossarg, giornalista, fa uno strano sogno: una voce di donna gli chiede aiuto. Il giorno successivo riceve una misteriosa telefonata: un uomo gli anticipa la notizia che ha vinto un premio giornalistico con il servizio sul movimento di emancipazione del delta del Niger. Il suo interlocutore gli chiede un appuntamento e Vanni, forse spinto più che altro dalla strana coincidenza, accetta. Durante il tragitto gli accadono ulteriori insoliti fenomeni: l'impianto elettrico della sua auto cessa di funzionare, forti folate di vento accompagnano un'anomala e fitta nebbia che gli impedisce la visibilità. Nonostante ciò, Vanni riesce in qualche modo a raggiungere una radura con al centro una chiesetta semidistrutta e abbandonata, lì, ad accoglierlo, un uomo dall'aspetto familiare. La chiesa, un tempo, ospitava monaci cistercensi, ma era stata abbandonata dopo che inquietanti presenze si erano manifestate in varie occasioni. Questo è l'inizio di 'Latte di cammella', sembrerebbe un paranormal e, in un certo senso, lo è. L'amabile ospite che attende Ossarg ha una figlia, Sonia, i due vorrebbero affidargli il compito di recarsi in Sierra Leone per realizzare reportage e attirare così l'attenzione dei media sulla disastrosa situazione in quella zona. Vanni, spinto forse più dal presagio e dallo sguardo di Sonia, accetta, prima però dovrà recarsi in Somalia per un incarico assunto con il suo giornale. In Somalia prima e Sierra Leone dopo, inizia dunque un viaggio allucinante che nemmeno la più fervida mente di uno scrittore horror potrebbe partorire. L'inferno esiste, ed è dietro l'angolo, in luoghi martoriati dove prendono corpo i peggiori incubi. Lì, dove la guerra non si combatte con le bombe, non fa rumore e non ci rimanda nessuna eco, dove si combatte con i machete, amputando manine o piedini di bimbi per 'dare l'esempio'. Dove gli squali infestano le coste perché attirati dagli scarti dei macelli abusivi e non. Dove si applica ancora la sharia e l'infibulazione, dove le droghe vegetali servono per calmare i morsi della fame o tirare fuori il coraggio di uccidere innocenti. Dove si muore di malattie perché non esiste assistenza sanitaria benché i mari siano diventati la discarica degli occidentali. Dove un'impressionante percentuale di donne muore ancora di parto e i bambini vengono vaccinati due, tre e più volte per avere in cambio una zanzariera, e la morte dei loro figli diventa solo un incidente di percorso dovuto alla disperazione. L'Africa, il continente più ricco per miniere di diamanti e per l'oro nero, è anche il più povero, un paradosso voluto da noi occidentali prima di tutto. Ogni singolo diamante che orna il dito o il collo di una donna gronda sangue di bambini innocenti, impiegati per la loro esilità che consente di raggiungere (nelle miniere) punti inaccessibile agli adulti. Quando non sono più in condizioni di lavorare, quei bambini, quelli che sopravvivono, hanno ormai perso la vista. Il carburante che usiamo per andare al lavoro, o per fare una semplice passeggiata, ha un prezzo altrettanto alto, ma lo pagano sempre loro: i poveri! Potere e ricchezza, sono questi i veri mali dell'uomo. L'uomo, l'animale più letale del mondo al vertice della catena alimentare, non esita a nutrirsi dei propri simili, che siano essi bambini o donne. I vecchi no, lì la vecchiaia è un'utopia, lì 'si muore come alberi tranciati, non come candele consumate.' Si muore di fame in quei luoghi, mentre noi distruggiamo tonnellate di cibo per assecondare le regole di mercato. Si muore decapitati, stuprati, squartati, impalati. Si somministrano allucinogeni a bambini talmente piccoli da non essere in grado nemmeno di reggere le armi perché uccidano i loro stessi genitori. Si praticano tagli sulla pelle in cui inserire direttamente la cocaina e aumentare l'aggressività. Sembra impossibile, ma si fa questo e anche altro, ed è l'uomo a farlo, ma dietro tanti uomini che lo fanno materialmente ci sono pochi 'uomini' con abiti lindi e griffati, scarpe lucide e stomaci sazi. Persone rispettabili e insospettabili. Tuttavia, un esile filo di speranza ci sarà sempre fin quando esisteranno personaggi come Yusuf, Hassan, Alessandro e soprattutto Sonia e suo padre, una manciata di persone che si battono con ogni mezzo per porre fine a questi scempi. Persone che non intendono piegarsi ai poteri forti. Marco Grasso, l'autore e giornalista, stempera un po' gli episodi di orrore (troppi) contrapponendogli personaggi (pochi, troppo pochi) di rara sensibilità mescolando l'impronta narrativa con quella lucida e dettagliata, oltre che distaccata, che caratterizza lo stile giornalistico. Ma in fondo tutte queste cose le conoscevamo già, erano solo troppo lontane per assumere connotati reali, ed è un bene che qualcuno ce le ricordi, che ce le sbatta sotto il naso. Mario Grasso non ci nasconde niente, né indora le amare pillole che troviamo nelle pagine del suo libro, solo così possiamo davvero prendere tutti coscienza e forse, uniti, pensare di fermare tutto questo un giorno. Un viaggio illuminante nella terra più bella e martoriata del mondo, grazie all'autore per aver avuto la forza di raccontare tutto questo. Un libro che consiglierei a chi si lamenta che 'la pasta è scotta' o a chi dice che 'un diamante è per sempre', sì, in effetti è per sempre, per quei bambini a cui è negato il diritto alla vita. Grazie, sì, a Mario per avermi annodato lo stomaco, fatto piangere, inorridire, ma avermi anche ricordato, nel caso ce ne fosse stato bisogno, che l'uomo, uno dei pochi animali in grado di usare leve e cervello, si sta autodistruggendo e che forse, se è vero che il futuro è degli scarafaggi, essi se lo saranno meritato più di noi.