Leggetelo. Appena saputo del nuovo libro di Baricco, sia l’autore sia l’argomento mi hanno spinto a ordinarlo subito. Due click ed era lì, sul mio tablet. Potenza del nuovo mondo digitale! Proprio di questo nuovo mondo parla infatti Baricco, con tutta la forza del suo linguaggio e della sua competenza filosofica e letteraria. Anni prima, l’autore aveva già affrontato i mutamenti culturali e le paure che avevano scatenato fra molti, soprattutto tra gli umanisti, nei suoi interventi sul quotidiano Repubblica del 2006. All’epoca, però, gran parte delle tecnologie digitali e delle loro applicazioni popolari (il personal computer, il web, lo smartphone, i social network ecc.) erano ancora nella loro infanzia o appena nati, quindi Baricco ha deciso di riverificare le proprie idee analizzando la situazione odierna, quando queste cose hanno raggiunto una certa maturità. La loro 'normalizzazione' è ancora lontana.
Inizio a leggere, ma, dopo qualche decina di pagine, comincio a infastidirmi. L’autore sembra proporci un’apologia del mondo digitale, espressa con un linguaggio brillante, ma a volte enfatico, sopra le righe, ripetitivo. La sua ricostruzione della genesi della cultura digitale, per quanto interessante, si trasforma in un racconto quasi mitologico, una leggenda. La sua tesi è, infatti, che i gadget digitali che oggi usiamo e il come li usiamo, scaturirono dal desiderio di alcuni visionari di liberarsi dalla cultura novecentesca dei confini, della barriere, della gestione del sapere da parte di una accolita di ‘sacerdoti’ (politici, intellettuali, maestri) che li avrebbe volontariamente nascosti al popolo. Le due guerre mondiali, le dittature, il razzismo sarebbero le drammatiche conseguenze di tale cultura (e di quella dei secoli precedenti, ovviamente). In contrapposizione a ciò, i visionari, senza un programma, nè un’ideologia, proposero nuovi usi dell’informatica. Anche se ne accenna brevemente, Baricco sembra minimizzare il fatto che le basi tecnologiche necessarie (microchip, Internet, time-sharing) nacquero tutte per la Guerra fredda, generosamente finanziate dal Dipartimento della difesa degli USA per tutti gli anni ’50-’70. Resta vero ─ e qui Baricco ha ragione ─ che fu nella controcultura californiana del 1970, non in quella nei centri di ricerca militari e industriali, da cui originò l’esaptazione delle tecnologie informatiche. Questo avviene quando oggetti inventati e sviluppati per un’applicazione, trovano il loro successo commerciale in un’altra. Un esempio classico è il fonografo di Edison, inventato per registrare a voce una lettera che poi la dattilografa avrebbe battuto a macchina, ma che divenne popolare (e molto redditizio) quando un certo Berliner inventò il disco fonografico per distribuire la musica a tutti. Baricco enfatizza la nuova cultura dell’informazione facile, superficiale e giocosa (il suo paradigma è condensato infatti nel titolo: The Game, Il gioco), esaltando proprio il carattere ‘superficiale’ poiché la tecnologia porterebbe in superficie contenuti fino a ieri nascosti in profondità dai suddetti ‘sacerdoti’, democratizzando così la conoscenza. Sembra però dimenticarsi che l’accesso non era volutamente ostacolato, esistevano già le biblioteche, bastava andarci, certo era più faticoso che informarsi su Facebook, ma non più che farlo su Wikipedia. Dinamicità e superficialità sarebbero le caratteristiche positive della nuova cultura, che ci preserverebbero da nuove guerre e nuove persecuzioni? L’autore dimentica che guerre e razzismi continuano imperterriti anche grazie l’aiuto delle tecnologie digitali. Un altro aspetto critico che Baricco affronta nella seconda metà del suo libro è la nascita dei nuovi capitalisti: aziende che valgono ormai mille miliardi di dollari, quasi il PIL della Corea del Sud, che è al quindicesimo posto della classifica mondiale. Se ne dovrebbe dedurre che i vecchi capitalisti novecenteschi sono stati sostituiti da nuovi capitalisti, che hanno un potere ancora maggiore e più concentrato. Senza dimenticare i governi oppressori che possono sfruttarne i servizi. Delocalizzati in un mondo virtuale, sono ancora più difficili da controllare e la loro invasività nel privato e nel sociale è impalpabile, ma non meno pericolosa. Anche se è vero che alcuni sono nati da un’ideale (pragmatico, non dogmatico, come dice Baricco), appena raggiunto il primo milione di fatturato si sono certamente accorti che la cosa si faceva interessante! Baricco, anche se lo ammette, sembra minimizzare il problema. Ad esempio, fa notare che i servizi (app, web, chat) sono gratuiti e che non è chiaro da dove vengano i soldi necessari per implementarli, mantenerli e ricavarne un reddito, ma la cosa non sembra preoccuparlo.
Per essere sincero, arrivato a circa un terzo, stavo per abbandonare il libro, per i motivi elencati, ma poi ho deciso di continuare e, alla fine, devo concludere che si tratta di un’opera che merita di essere letta, anche se non saprei a che genere di lettore consigliarla; certo non ai nativi digitali, che non ne hanno bisogno, ma neppure ai NO-digital, che lo rifiuterebbero a priori. Rimangono gli indecisi, che sono non pochi. Il mondo digitale resta una grande innovazione, potente e efficiente (io stesso non potrei più farne a ameno) e The Game è un libro che aiuta a capirlo e a ragionarci. Proprio a questo serve un buon libro, anche quando è digitale.
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